Dall’armistizio dell’8 settembre al 25 aprile 1945, la guerra di liberazione e gli eventi nella Savona occupata.

Allo sfacelo seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 e alla clamorosa abdicazione alle proprie responsabilità delle autorità civili e militari, nelle regioni italiane non ancora raggiunte dall’avanzata alleata alcuni si uniono ai tedeschi, altri si misero in stato di prudente attesa.

Ma ci fu anche chi cominciò a battersi per il riscatto del paese. Militari e civili impugnarono di nuovo le armi, e l’opposizione politica e organizzata al fascismo, che si era formata nelle carceri, in esilio, nella guerra di Spagna, al momento dell’armistizio si trovò accanto, alleati contro il regime e i nazisti, tutto il paese, dai giovani delsi dal crollo militare ai soldati traditi.

Nasceva un’altra Italia che avrebbe dovuto combattere e soffrire a lungo prima di ottenere la libertà e il riconoscimento internazionale. Il suo esercito era ancora da formare, ma i suoi capi riprendevano coraggiosamente la lotta anche fuggendo dalle carceri o rientrando clandestinamente dall’estero. 

Per l’Italia iniziava una nuova guerra, la sola combattuta senza coscrizione o cartolina precetto, che riunì sotto un’unica bandiera  uomini di ogni formazione politica, ideologica e culturale.

La Resistenza al fascismo e al nazismo, come disse il leader comunista Giorgio Amendola, “non fu di parte: fu tricolore.


La caduta del fascismo – 25 Luglio 1943

Ripercorriamo gli eventi che portarono alla Liberazione dell’Italia dal dominio nazifascista.

Il 25 Luglio 1943 alle 22,45 il Maresciallo Pietro Badoglio annuncia la caduta del fascismo con l’arresto di Mussolini. Quel giorno Savona era sotto la minaccia di un allarme aereo. La situazione è tutt’altro che cambiata: il meccanismo statale, quindi polizia e istituzioni locali sono fasciste, ma anche la presenza delle camicie nere che detengono le armi e, quindi, il potere reale è una seria minaccia, per chiunque voglia istituire un governo democratico.

Savona

Il 26 Luglio, nei pressi della Chiesa di San Lorenzo, si riunisce il Comitato Federale del Partito Comunista del quale fanno parte e sono presenti: A. Aglietto, G. Rosso, G. Rebagliati, A. Bevilacqua, A. Gori, P. Molinari, L. Briganti i quali decidono di prendere subito accordi con i partiti democratici per promuovere uno sciopero generale.

L’azione si concretizza repidamente: il Partito di Azione, il Gruppo di Ricostruzione Liberale, il Movimento di Unità Proletaria per la Repubblica Socialista, il Partito Democratico Cristiano, il Partito Socialista, il Partito Comunista firmano un appello e lo sciopero prende avvio dalla Scarpa & Magnano.

L’inizio della protesta popolare

La sirena di quello stabilimento chiama a raccolta la popolazione dei rioni di Villapiana e Lavagnola. Si forma un grande corteo che attraversa la città e raggiunge l’ILVA le cui maestranze escono dalla fabbrica. Altrettanto avviene presso gli altri Stabilimenti della città.
La maggior parte dei savonesi è nelle strade, nelle piazze. È una folla festante, incontenibile. Vengono bruciate insegne, bandiere, gagliardetti del fascio; la Casa Littoria è invasa e così pure le sedi rionali fasciste. Una colonna di manifestanti raggiunge le carceri di S. Agostino per chiedere la liberazione dei detenuti politici.

Frattanto le autorità militari assumono la tutela dell’ordine pubblico e in città appaiono alcuni plotoni di soldati in assetto da guerra.
Qualche tafferuglio di poco conto avviene fra soldati e dimostranti che tentano di raggiungere le caserme dove è acquartierata la Milizia fascista.
Nulla di grave si registra grazie anche alla sensibilità e giusta valutazione del Generale Salvi comandante della Piazzaforte, il quale, ad un certo punto, si unisce alla popolazione.

Le rivolte sanguinarie

Il 26 Luglio altre proteste popolari si presentano tra le vie di Savona, sebbene la folla non si lasci trasportare a commettere alcun atto grave, la situazione è tesa: i militari della Polizia Portuale della casermetta di Via Vittorio Veneto aprono il fuoco su un gruppo di dimostranti.

Due giovani donne rimangono uccise e numerosi sono i feriti.

Targa in ricordo delle vittime per manifestazioni – vedi link per maggiori dettagli

Sempre il 27 Luglio, una manifestazione di protesta per l’accaduto vede di nuovo la Savona operaia scendere per le strade malgrado il divieto del Prefetto Enrico Avalle, il quale invia le truppe a circondare a folla che gremisce Piazza Mameli.

Savona, Piazza Mameli, Monumento ai caduti.

Parlano: l’Avv. Achille Campanile – socialista –, l’operaio comunista Piero Molinari e l’Avv. Cristoforo Astengo del Partito d’Azione. La folla si sposta in Piazza Sisto IV dove, dal balcone del Palazzo Comunale, l’operaio Angelo Bevilacqua torna a puntualizzare i motivi delle richieste fatte attraverso il Comitato d’Azione Antifascista.

Iniziano così i 45 giorni che dividono la fine del fascismo, apparente, e l’armistizio dell’8 settembre. Giorni in cui Savona, seppur fra molte contraddizioni, ricomincia a respirare aria di libertà, di ottimismo.


L’armistizio dell’8 settembre e la lotta di Savona contro il Nazifascismo

A Savona l’8 settembre 1943, e come in gran parte d’Italia, l’esercito è sfasciato. Vista le forze armate esigue nella zona, e la partenza della Divisione costiera verso la frontiera francese, che non possono consentire la resistenza all’occupazione tedesca, non viene dato ordine di difendere le caserme. Gruppi di lavoratori ed ex soldati comprendendo la situazione assaltano depositi e caserme abbandonate per recuperare armi per la lotta di resistenza.

Occupazione Tedesca

In Via Cesare Battisti, dove ha sede il Comando di un Nucleo militare provinciale, un folto gruppo di operai invoca, da alcuni ufficiali che ne sbarrano l’ingresso, la consegna delle armi. I militari si rifiutano e si giunge alle mani. Poco dopo, gli stessi operai, arrestano una staffetta motociclistica tedesca, che passa in quella via.

In suo aiuto, poco dopo, giungono numerosi soldati germanici che occupano Via Cesare Battisti e l’attigua Piazza Mameli: alcuni manifestanti vengono fermati e la stazione ferroviaria è presidiata.


L’autoaffondamento delle imbarcazioni nel porto di Savona

porto di Savona, le navi affondate – 9 settembre 1943

Il Tenente Colonnello Enrico Roni, Comandante del porto di Savona, si rese protagonista delle vicende successive all’armistizio dell’8 settembre 1943. In difficili condizioni tecniche, morali per non parlare delle ignare conseguenze che potevano anche costare la vita, il Comandante Roni, insieme agli ufficiali della Capitaneria e del totale appoggio degli equipaggi, attuò l’autoaffondamento delle imbarcazioni civili nel porto di Savona per non farle cadere in mano tedesca.


”Il tedescone inatteso”

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nel culmine della catastrofe militare della città lavora instancabilmente con i propri sottufficiali, già dalla sera dell’8 settembre, a impedire ai tedeschi di impadronirsi delle navi italiane ancorate nel porto.

Il Comandante Roni è privo di ordini e conosce soltanto, attraverso la radio inglese, le istruzioni impartite dall’Ammiraglio britannico Cunningham: i tedeschi non devono impadronirsi della flotta italiana. “Tutte le navi militari o mercantili che siano in condizioni di partire, lascino i porti e si dirigano su Malta; le altre si autoaffondino sul posto.

Tenente Colonnello Enrico Roni

La situazione per il Comandante Roni è tutt’altro che semplice: a Savona è presente un ufficile di collegamento della Marina tedesca, il Capitano di Corvetta Smiths, inviato dopo il 25 luglio 1943. Proprio alla sera dell’8 settembre, e la mattina seguente, Smiths si presenta alla Capitaneria di Porto per il rilascio dell’autorizzazione alla partenza delle motozzattere tedesche ancorate nel porto dirette per la Francia.

Roni con abilità temporeggia e vedendo il momento a favore, rilascia il permesso, questo per avere mano libera in porto, facendo partire gran parte delle forze tedesche dal retroterra.

Alle 18.45 del 9 Settembre le ostruzioni del porto vengo aperte e quindici tra motozzattere e motovedette germaniche partono verso il ponente.

motozzattera tedesca nella rada di Tolone, luglio 1943.

La Difficile Scelta

Il Comandante Roni, intanto riesce a contattare il Comando Marina di Genova e viene informato della prossima occupazione del porto da parte dei tedeschi. A Roni viene ordinato di distruggere gli archivi segreti, gli apparecchi radio, di far partire per località a sud di Livorno le navi in condizioni di muovere e di far autoaffondare sul posto le altre; comunque di regolarsi secondo le circostanze.

Roni non può fare a meno di obiettare:

E me lo dite ora che siamo già praticamente in mano ai tedeschi?

Ten.Col. e.roni – comandante porto di savona

Alle sette e un quarto, anche se perfettamente consapevole dei gravi rischi personali che egli sta correndo, di fronte ad un’eventuale rabbiosa rappresaglia dei tedeschi, impartisce coraggiosamente gli ordini di partenza delle unità italiane in grado di navigare e di autoaffondamento delle altre navi.

Sei sono le unità che riescono a prendere il largo e dieci quelle che si autoaffondano.

L’intervento Tedesco

Alle 20.00 i tedeschi, guidati dal Comandante Smiths, piantonano, senza ancora occuparne gli uffici, l’ingresso della Capitaneria sulla via Aurelia, Roni comunque riesce impartire le ultime disposizioni ad alcuni comandanti di nave. Con questa operazione condotta con tenacia e rara perizia dal Comandante italiano, i tedeschi non possono utilizzare nè le navi, nè le banchine dinanzi alle quali le navi affondate ostruiscono il fondo.

Il Comandante Smiths verso mezzogiorno occupa la Capitaneria e riconosce a Roni l’abilità delle sue azioni:

Se avessi avuto in porto le mie motozzattere, voi non sareste riuscito a far affondare neppure una nave

Comandante tedesco

La risposta delle forze Antifasciste all’occupazione

Nella sede della Federazione Combattenti, si è riunito il Comitato d’Azione antifascista, costituito dai rappresentanti di tutti i partiti.

Sono pure presenti quattro ufficiali (tre colonnelli e un capitano dei Carabinieri) i quali riferiscono che “il comando tedesco sarebbe propenso ad una collaborazione con il Comitato, al quale richiederebbe un contingente di cento cittadini da armare e adibire esclusivamente a servizi di ordine pubblico”.

Di fronte all’evidente manovra di sottomettere, mediante quella forma di collaborazione, la cittadinanza ai tedeschi, in attesa dell’eventuale ritorno dei fascisti fuggiti dopo il 25 luglio, il Comitato respinge la proposta e pensa, invece, a come organizzare concretamente la resistenza armata.

Mannorino Mannori, il primo antifascista caduto

Mannori Mannorino

Mannori Mannorino, 33 anni, nato a Pistoia, secondo di nove figli, operaio portuale, sin dal mattino del 9 settembre è instancabile nel trasporto delle armi. È un antifascista che non ha mai nascosto i suoi sentimenti di opposizione al regime.

Decide di reagire e la sua azione arriverà presto.

Sono circa 18.00 del 9 settembre e Mannori, con un gruppo spontaneo di giovani, attacca una camionetta di tedeschi tra via Pietro Giuria e l’allora Piazza del Re (sulla cui area si erge oggi l’edificio della scuola elementare “C. Colombo” e della scuola media “P. Boselli”). Viene lanciata una bomba.

I tedeschi reagiscono ed inseguono i giovani. Mannori è circondato e fatto prigioniero. È trascinato prima in un edificio del porto e poi in una caserma, che già fu della milizia fascista, in Corso Ricci.

La sera stessa, portato in località Maschio, è fucilato dai tedeschi.
Il suo corpo, impietosamente abbandonato sul terreno, viene ritrovato, casualmente, soltanto la domenica successiva.

I suoi due fratelli Sestilio e Cino verranno in seguito deportati in Germania. Il primo di 28 anni non farà più ritorno, mentre il secondo riuscirà a sopravvivere.
Savona paga così il suo primo tributo di sangue alla Resistenza.

In quei giorni i tedeschi ordinano alla popolazione di ritirarsi nelle proprie abitazioni: il coprifuoco sta per avere inizio.

Questo non riuscirà a impedire ai savonesi di organizzarsi per combattere militarmente i nazifascisti, fino alla loro definitiva sconfitta. Il Comitato di Liberazione Nazionale, in cui confluiscono tutti i partiti, costituirà l’elemento unificatore e propulsore della lotta senza quartiere condotta contro il nemico che varrà a Savona, quale riconoscimento delle sue battaglie e dei suoi sacrifici, il conferimento della Medaglia d’Oro al Valore Militare per la Resistenza.


aggiornamento del 28/04/2020

Il ritorno dei fascisti

Il 10 Settembre aerei tedeschi lanciano sulla città manifestini con suscritto che chiunque opponga resistenza agli ordini germanici sarà fucilato.

I tedeschi vengono seguiti dopo poco tempo dai fascisti. Il 15 Settembre Mussolini annuncia la trasformazione del PNF (Partito Nazionale Fascista) in Partito Fascista Repubblicano.

Il fascismo repubblichino ha carattere composito: a fianco di idealisti e di giovani con il mito dell’onore e della “patria tradita” si collocano gli elementi più violenti del vecchio squadrismo, delinquenti e spostati di ogni genere, assieme a personaggi di secondo piano convinti che sia finalmente arrivato il loro momento. Scrive a questo proposito Giorgio Bocca:

Il nuovo fascismo, come cultura, come patrimonio di idee, è anche peggio di quanto dica e immagini la ribellione; ma non accoglie solo la “feccia della nazione“, ci vanno anche gli onesti, i confusi, i disperati: alcuni gettandosi nell’avventura senza capire bene i rischi mortali che corrono; altri, conoscendoli e accettandoli. Perché ci sono due modi di protestare contro le ferite e le delusioni della vita: battersi per una vita migliore, o mettere quella che si ha sulla punta di un bastone. Per certi italiani nel settembre il nuovo fascismo equivale al suicidio.

Giorgio bocca

Oltre alla classica repressione fascista si presenta la propaganda per guadagnare consenso nella classe operaia: Bruno Bianchi, commissario della federazione fascista di Savona, pubblica un manifesto in cui chiede agli antifascisti di “dimenticare ogni risentimento” e di “costituire finalmente un autentico regime proletario in cui lavoro e popolo siano i fattori essenziali“.

La propaganda fascista continua

Le autorità provinciali appena insediate sotto la guida di Filippo Mirabelli avviano un’azione di convincimento della classe lavoratrice della zona. Vengono chiamati gli ex componenti delle Commissioni Interne (Le commissioni interne sono state le prime forme di rappresentanza dei lavoratori e nascono in alcune aziende all’inizio del novecento), e viene offerto loro collaborazione. Successivamente la propaganda fascista si sposta direttamente in fabbrica: un discorso federale repubblichino all’ILVA cerca di abindolare gli operai utilizzando discorsi come: “abolizione del sistema capitalistico“, la forma “socialistica” del regime repubblicano; ma che ,prima di tutto, la guerra contro le “potenze plutocratiche” deve continuare a fianco dei “camerati germanici“.

La Risposta Operaia

E’ evidente che le Commissioni Interne, create in passato dagli operai contro la classe capotalista borghese, sono sistemi per controllare il malcontento e le azioni operaie nelle fabbriche, soprattutto dopo l’intenzione, da parte del fascismo repubblicano, di riconoscerle e dopo di rendere obbligatorie tali organismi in ogni attività industriale.

Secondo il Partito Comunista le Commissioni Interne sono da escludere perchè renderebbe gli operai ostaggi della Gestapo.

Viene quindi avanzata la proposta di comitati di agitazione segreti da parte dei Comunisti. Questa posizione incontra una imprevista resistenza da parte degli operai, che considerano le commissioni interne una conquista sociale a cui non si può rinunciare.

Questa resistenza è dovuta agli operai meno politicizzati, che hanno perplessità sulla natura e gli scopi di questi comitati di agitazione e pensano invece che abbiano compiti prevalentemente politici invece che azioni rivendicative a favore dei diritti dei lavoratori.

Viene costituito il CLN

A Savona come nel resto del paese viene costituito il Comitato di Liberazione Nazionale. Il Comitato è formato dagli esponenti di tutti i partiti antifascisti che hanno dato il loro assenso.

  • Agostino Siccardi (PCI – Partito Comunista Italiano);
  • Leopoldo Fabretti (DC – Democrazia Cristiana);
  • Giuseppe Musso (PRI – Partito Repubblicano Italiano);
  • Corrado Ferro (PSIUP – Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria).

Segretario è il repubblicano Antonio Zauli. A fianco del del CLN, organo politico, opera un Comitato Militare

  • Giovanni Clerico (PSIUP – Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria);
  • Umberto Panconi (PRI – Partito Repubblicano Italiano);
  • Gagliardi (DC – Democrazia Cristiana);
  • Giuseppe Ghiso (PCI – Partito Comunista Italiano);
  • Francesco Colombo (Indipendente);
  • Francesco De Salvo (Indipendente).

La situazione fin dall’inizionon è semplice: l’atteggiamento della gran parte delle forze antifasciste è quello “dell’attesismo“, gli Alleati e il governo Badoglio spingono per questa strategia. Questo per una eventualità futura data da un possibile movimento popolare con forte presenza comunista che possa prendere l’eredini del governo del paese: si profilava la futura guerra fredda che avrebbe condizionato la vita politica del paese del dopoguerra.


I bombardamenti su Savona

La Liguria nella prima parte del secondo conflitto mondiale fu coinvolta in modo marginale con piccoli e medi attacchi aeronavali, che causarono pochi danni e vittime.

Nell’ottobre del 1942 la parte storica della Quarda e il mercato coperto a Savona vengono gravemente colpiti; il 30 ottobre del 1943 un bombardamento aereo sconvolse definitivamente la zona: la famosa Piazza delle Erbe – vicino al Brandale-, Piazza Caricamento (o piazza del pesce dove i pescatori del porto venivano a vendere il pescato) – oggi dove sorgeva la piazza è presente il benzinaio sull’Aurelia – e Piazza Colombo – che in parte rimane a fianco dell’odierna Piazza Della Rovere – , coinvolgendo gli edifici storici – nella mappa segnate con contorno nero e bianco interno.

Le vittime furono 116 e sconvolgendo il cuore medioevale della città.


La lotta partigiana – Il Partito Comunista

I comunisti non approvano assolutamente la posizione delle altre forze antifasciste: questo escluderebbe il Partito dalla futura definizione degli assetti politico-istituzionali dell’Italia liberata.

L’unico obbiettivo è il protagonismo operaio e l’azione militare decisa, immediata e senza esclusione di colpi. I comunisti ormai non hanno solo uno scopo fondante, cioè quello di guida sicura e autentica delle masse popolari e della classe operaia contro l’oppressione sociale, la disuguaglianza economica e per l’ottenimento di pari diritti per i lavoratori e per la società, ma anche quello della guerra patriottica per la liberazione del paese e per la costituzione di un governo democratico.

È necessario agire subito e il più ampiamente possibile. Primo, per poter abbreviare la durata della guerra e liberare al più presto il popolo italiano dall’oppressione tedesca e fascista. L’azione dei partigiani deve diventare l’azione di tutto il popolo italiano[…]

Il popolo italiano potrà avere un suo governo, il governo al quale da tanto tempo aspira, un governo che faccia veramente i suoi interessi, un governo non legato alle cricche imperialiste reazionarie, solo se avrà lottato per la conquista della indipendenza e della libertà, solo se avrà dimostrato di avere la forza per imporre un suo governo. […]

pietro secchia, comm.politico comando garibaldino

L’azione Comunista in solitaria

Fin da subito emerge quindi in tutta la sua complessità la questione di quale sia il vero carattere della Resistenza, cioè combattere tre guerre in una: guerra di liberazione nazionale contro i tedeschi, guerra civile contro i fascisti, guerra di classe contro i padroni. Tre realtà distinte ma non separabili.

Il che rende la Resistenza un fenomeno complesso, irriducibile ad una lettura semplicistica e a tesi.

Alla fine di Settembre 1943 la Direzione del PCI comunica alle federazioni dettagliate direttive che invitano le organizzazioni locali a combattere, nei Comitati di Liberazione Nazionali, la scelta attesista e nel partito stesso ogni manifestazione di estremismo e il rifiuto di collaborare con i “badogliani” e le altre forze politiche moderate.

In pratica il PCI si ritrova, nella prima fase della guerra di liberazione (1943-45), l’unica forza antifascista che partecipa attivamente ai combattimenti.

La riorganizzazione

Tra ottobre e novembre il PCI riorganizza e potenzia la rete organizzativa ligure con l’inserimento di un responsabile militare in ognuno dei settori, nei quali erano allora volta suddivise le proprie organizzazioni cittadine. Tutta l’attività politico-militare in Liguria è diretta da un “triangolo” composto da Remo Scappini, Raffaele Pieragostini e Ilio Bosi, segretario della federazione di Genova.

Ma nonostante ciò la situazione dei comunisti in Liguria resta difficile.

La situazione è complessa

Il problema della dirigenza comunista è come porre sotto controllo il nascente movimento partigiano che in questa sua prima fase di vita sta muovendosi spontaneamente per linee proprie non convergenti con quelle del partito.

Per risolvere il localismo delle bande militari, il partito invia un numero massiccio di militari e viene creata una rete di commissari politici – modello sovietico utilizzato già nella guerra civile spagnola del 1936-1939 – da affiancare i comandanti militari.

All‘inizio dell’autunno 1943 una parte di militanti raggiungerà le unità partigiane sulle montagne dell’entroterra.

Sempre nello stesso periodo Giancarlo Pajetta – esponente di alto profilo del partito comunista nazionale e partigiano – viene inviato da Luigi Longo ad una riunione del Comitato Federale comunista di Savona. La linea è quella della lotta armata contro l’occupante tedesco e i collaborazionisti fascisti.

L’organo del partito “Savona proletaria” invita gli operai alla mobilitazione e alla resistenza. Le direttive sono chiare: massima urgenza di recupero armi, ricoveri in montagna e reti di appoggio in città. Ci si deve preparare ad una guerra lunga e difficile.

Ai primi di ottobre 1943 viene deciso di inviare militanti in montagna: Libero Briganti, Pietro Molinari, Gin Bevilacqua e Rebagliati lasciano Savona per andare ad organizzare le prime bande. Poco dopo Andrea Aglietto e Giovanni Rosso lasciano la città per aiutare la Federazione di Genova.

A dirigere il Partito Comunista di Savona arrivano da Imperia Giovanni Gilardi, Carlo Aschero, Carlo Recagno, Giacomo Donnello, Carlo De Lucis, Gerolamo Recagno e Agostino Siccardo.

Savona dopo l’armistizio (1943)

A Savona l’attività procede a rilento tra mille difficoltà. Infatti gli operai oppongono resistenza ad accettare la visione fortemente patriottica nazionalista del partito. I militanti continuano a ragionare in termini di lotta di classe e di rivoluzione proletaria e socialista.

La situazione a Savona negli ultimi mesi del 1943 è raccontata in una relazione di Gian Carlo Pajetta.

[…] A Savona l’attività
industriale è quasi paralizzata
. Il porto è completamente fermo. Negli stabilimenti Ilva gli operai lavorano sei ore al giorno e la produzione risulta essere diminuita di molto. Prima dell’8 settembre vi erano in attività quattro alti forni, attualmente ve ne sono due. Si prevede che presto l’ILVA chiuderà per mancanza di materie prime.

[…] Nelle montagne vi sono molti distaccamenti partigiani, ma le nostre organizzazioni non sono all’altezza dei compiti che loro si pongono.

[…] Ad Albenga una parte dei compagni (tra i vecchi) sostiene che attualmente non bisogna fare nulla, che è meglio attendere l’arrivo degli angloamericani. Un’altra parte dei compagni (i giovani) sostengono invece che bisogna agire subito.

[…] A Savona l’organizzazione era riuscita a creare tre distaccamenti e ad inviarli sulle montagne, ma non è stata in grado di fornire un comitato militare per dirigere e coordinare il lavoro e l’azione di questi distaccamenti.

[…] Dopo l’occupazione tedesca la situazione delle masse lavoratrici è peggiorata, ma non ci risulta che i compagni abbiano preso iniziative per studiare ed agitare le rivendicazioni più sentite dagli operai. A Savona gli operai di una fabbrica, di fronte alle prospettive di essere licenziati in massa per mancanza di lavoro, hanno nominato una commissione per chiedere alla direzione il pagamento anticipato di tre mesi del loro salario. La notizia di questa agitazione si sparse subito negli altri stabilimenti della città. Il sindacato degli industriali si occupò della questione
naturalmente per liquidarla.

gian carlo pajetta – dirigente partito comunista
La Società Siderurgica di Savona (dal 1918 al 1961 diverrà ILVA Alti Forni e Acciaierie d’Italia e che poi diverrà definitivamente Italsider).

La lotta armata ha inizio

I tempi sono duri e lo saranno ancora di più fra poco; il nemico è forte e organizzato; fascisti e tedeschi fanno fronte unico e non possiamo affrontarli sul terreno che è loro favorevole, cioè lo scontro frontale. Li combatteremo dove, come e quando decideremo noi. Una cosa è certa: la vittoria sarà del popolo.

giovanni gilardi – “andrea”

I primi nuclei di resistenza armata si formano nelle zone di Santa Giulia, Montenotte e Bormida, alle “Tagliate” e nell’Albengalese, dove un gruppo di giovani raggiungono la zona di Capruana e la Val Casotto riunendosi ai militari sbandati già presenti sul posto. Gli inizi sono difficili, mancano armi e munizioni, vanno costruiti i collegamenti fra i gruppi armati e le strutture politiche, ma soprattutto occorre conquistare la fiducia dei contadini.

Ottobre, novembre, dicembre furono soprattutto i mesi dell’organizzazione, dell’armamento e dell’addestramento delle formazioni partigiane. È vero che queste si creavano ogni giorno nella lotta, che non si poteva attendere di essere forti per cominciare il combattimento, però un minimo di preparazione era necessario. La maggior parte delle azioni effettuate nei primi tre-quattro mesi ebbe quasi esclusivamente come obiettivo la conquista delle armi, delle munizioni e del materiale necessario alla vita delle formazioni e al combattimento.

secchia, moscatelli – cronache di guerra

I giovani combattenti

I partigiani “hanno vent’anni e il cuore giovani“- Revelli – il che vuol dire coraggio, idealismo, spirito di sacrificio, ma anche tanta inesperienza. Incide anche un naturale istinto di classe che i giovanissimi partigiani, in larga parte di provenienza operaia. Molti giovani si chiedono come si possa sparare a freddo contro un soldato tedesco, che magari era un operaio come loro, quasi un compagno.

La prima volta che andai sulle montagne savonesi, in quello che là chiamano “il Piemonte”, trovai ben poco spirito partigiano. Mi dissero che avevano catturato due tedeschi delle SS. “Bene, cosa ne avete fatto?” Li avevano disarmati. Nessuno aveva tenuto conto che di armi le due SS ne avrebbero ritrovate quante ne volevano nel presidio più vicino, al quale avrebbero anche fornito informazioni pericolose per i nostri. Ucciderli era parso un atto di ferocia inutile, quasi impossibile per noi. Se è difficile convincere a rischiare la vita, qualche volta è almeno altrettanto difficile insegnare a uccidere. Eppure bisognava. Io e Letizia eravamo in Liguria anche per questo. Le direttive di Luigi Longo e del Comando non dovevano restare sui foglietti gialli, per l’archivio. La seconda volta i savonesi si decisero a sparare, ma l’agguato era preparato male, e finirono per l’uccidere uno dei nostri. Imparare la guerra richiede un difficile apprendistato. Comunque anche a Savona, come ho
già detto, si fecero progressi: prima che arrivasse il 25 aprile del 1945, i garibaldini erano nelle prime file; la loro città se la liberarono da soli e Aglietto tornò sindaco.

gian carlo pajetta

L’eccidio nazifascista del Forte di Madonna degli Angeli – “La strage di Natale del 1943”

Nel settembre ‘43 si costituiscono io primi gruppi armati a S.Giulia di Diego, a Montenotte, a Bormida, a Montagna e a Roviasca e per essenziale iniziativa dei comunisti, nella clandestinità, si costituiscono i primi nuclei di resistenza cittadina di strada e di fabbrica che confluiranno nella primavera del ‘44 nelle brigate delle SAP (Squadre di Azione Patriottica) insieme alle GAP (Gruppi di Azione Patriottica – al comando delle Brigate Garibaldi) . Un periodo in cui il fascismo è ritornato al potere, di sopraffazione politica, di intimidazioni, di sfruttamento della classe operaia impoverita che vede i salari sempre più svalutati, che in fabbrica è sottoposta alla repressione e al controllo dei tedeschi oltre che dei fascisti e che matura la decisione di opporsi a questi ultimi con azioni concrete.

Così alle ore 10 del 20 Dicembre, su indicazione del Comitato sindacale segreto degli operai delle principali fabbriche di Savona e di Vado abbandonano il lavoro e sfilano per strada gridando: “vogliamo pane”.

Solo alla mattina del 23 dicembre, dopo due giorni di sciopero e di trattative con le autorità fasciste e tedesche, gli operai tornano al lavoro dopo averle costrette a trattare nel merito delle loro richieste. Questo successo e questa prova di forza della classe operaia savonese fa maturare e rafforza l’unità delle forze antifasciste della Resistenza. A suggellare questa volontà d’azione unitaria capita un fatto tragico.

L’attentato

Il 23 Dicembre una esplosione piuttosto potente causò 5 morti e 15 feriti alla “Trattoria della Stazione“, in via XX settembre, tra cui uno dei più noti collaborazionisti, lo squadrista Bonetto accanito persecutore degli antifascisti savonesi, impiegato dell’ILVA dove si occupava della redazione delle liste di operai che coattivamente sarebbero stati trasferiti in Germania. Ben noto per le spedizioni punitive capitanate contro antifascisti prima e dopo la marcia su Roma.

Sull’attore o sugli attori dell’attentato tutt’oggi non si sa nulla di preciso ma si ipotizza siano stati su antifascista di propria iniziativa, poiché ne il CLN, ne i GAP o i SAP erano stati strutturati sul piano organizzativo e gerarchico quindi era impensabile una azione di questo tipo.

Appena la notizia si diffonde per la città, un senso di sgomento invade tutti. […] E’ la prima volta che si verifica un episodio del genere non si sa come il nemico possa reagire, dato che è assai improbabile che gli esecutori siano rintracciati”.

Arrigo Cervetto (nella sua ricerca storica “Savona operaia dalle lotte della siderurgica alla Resistenza”)

Lo stesso giorno viene disposto il coprifuoco dalle ore 18, nel mentre i fascisti pensano ad una rappresaglia incontrollata ma i tedeschi suggeriscono una “punizione esemplare” di maggior rilievo eliminando alcuni tra gli antifascisti di maggior prestigio politico locale.

Rappresaglia NON tedesca

Il compito viene lasciato alle autorità italiane di polizia e ai fascisti, i quali diramano una offerta di 100.000 lire per chi avesse fornito notizie sugli autori e mandanti dell’attentato, una offerta elevata per il tempo. Dopo aver inutilmente diramato l’annuncio vengono effettuati, nella note dal 23 al 24 dicembre, numerosi arresti di cittadini sospettati di essere antifascisti, per iniziativa del capo della provincia Filippo Mirabelli. Gli arresti vengono effettuati nella notte del 23 dicembre fino al mattino del giorno successivo.

Nelle prime ore del 25 Dicembre l’avv. Cristoforo Astengo, da due mesi recluso nel carcere di Marassi, a Genova, senza imputazione precisa, viene trasferito a Savona e nello stesso giorno, a Finale Ligure viene arrestato l’avv. Renato Wuillermin.

Nella notte tra Natale e Santo Stefano, in una riunione presso la Federazione fascista, viene deciso di fucilare qualche esponente antifascista per dare un esempio. E al mattino del 26 dicembre si riuniscono Filippo Mirabelli, Bruno Bianchi(commissario federale), Luigi Aglietti (console comandante della 34esima legione), Puma (questore di Savona), Mirco Sigliotti (capitano dei carabinieri), Cattaneo e Possenti (dell’ufficio politico della Milizia Fascista).

I condannati scelti dai fascisti

Il mattino del 26 dicembre viene redatta la lista dei 7 antifascisti da deferire al Tribunale speciale straordinario , di cui viene annunciata la costituzione, come “mandanti morali” dell’attentato di via XX Settembre. Il capitano dei carabinieri Sigliotti insiste e su una sua personale denuncia ottiene la condanna a morte dell’avv. Wuillermin e di altri tre reclusi, da tempo arrestati per motivi puramente politici.

Savona è la prima città ligure a subire una grande rappresaglia

Il 27 Dicembre 1943, alle ore 4, i sette antifascisti vengono prelevati dal carcere di Sant’Agostino dal torpedone della Questura, completamente ignari della loro sorte, incatenati tra loro in due gruppi, e condotti, alla caserma della milizia in corso Ricci in una piccola strada a fianco, e li restano fino alle ore 6.

Gli antifascisti:

  • Cristoforo Astengo, avvocato, 58 anni;
  • Renato Willermin, avvocato, 47 anni;
  • Francesco Calcagno, contadino, 26 anni;
  • Carlo Rebagliati, falegname, 47 anni;
  • Arturo Giacosa, operaio, 38 anni;
  • Aurelio Bolognesi, soldato, 31 anni;
  • Aniello Savarese, soldato, 21 anni.

La sentenza di morte venne pronunciata frettolosamente nella sala del comando della milizia.
Gli imputati non vennero interrogati ne fu loro contestato alcun reato. Tanto meno venne loro permesso di discolparsi; Non vennero escussi testi di accusa o a difesa .

L’esecuzione al Forte di Madonna degli Angeli

Alle 6 il torpedone della Questura riparte con destinazione il Forte Madonna degli Angeli, e durante il tragitto, l’avv.Astengo rassicura tutti escludendo la fucilazione mentre l’avv. Wuillermin avendo visto un furgone funebre che segue il torpedone lo fa notare ad Astengo il quale risponde essere una combinazione.

No, no ragazzi, siate tranquilli: io sono certo che ci faranno ancora maggiori angherie di quelle che mi hanno fatto in questi 62 giorni di carcerazione. Ci sottoporranno ancora a maltrattamenti, ma che arrivino al punto di fucilarci l’escludo formalmente. Non c’è stato interrogatorio nè contestazione e nessuna comunicazione di sentenza. Qualunque tribunale, anche illegale, deve pure adempiere alle formalità d’uso….State tranquilli, vedrete che ci condurranno al forte per tenerci isolati…

L’avv. Astengo ai compagni di prigionia durante il trasferimento al Forte Madonna degli Angeli.

Giunti al forte, i carabinieri di scorta conducono le vittime alla spianata ove, con stupore trovano pronto il plotone di esecuzione ( 40 militi al comando del capomanipolo Pietro Messa di Ceriale). Compresa la situazione, i carabinieri non hanno il coraggio di slegare i condannati e si allontanano rapidamente per non essere presenti all’eccidio. Le vittime comprendono la realtà sulla loro fine. L’avv. Astengo, sdegnato grida:

Vigliacchi! Voi vi macchiate del peggior crimine che la storia ricordi! Io non so nulla da due mesi di quello che avviene fuori!

Gli si avvicina il sensore della Milizia, Rosario Previdera che gli risponde:

Questo è il conto che vi si salda dopo vent’anni di propaganda antifascista e della vostra catechizzazione contro il fascismo

L’avv. Wuillermin a sua volta dice:

Giacché mi dovete ammazzare datemi almeno l’estremo conforto della religione, chiamatemi un prete.

Il seniore Previdera gli risponde:

Andate là, ho regolato io tutti i conti per voi anche con Dio.

I sette prigionieri si schierano con il petto verso i fucili, ma il seniore Previdera ingiuriandoli e gridando li obbliga a volgere la schiena.

Alle 7 il capomanipolo Pietro Messa ordina il fuoco: tre militi col fucile mitragliatore sventagliano le pallottole sul gruppo incatenato e le vittime si abbattono le une sulle altre.

Astengo, Calcagno e Rebagliati che gemono ancora vengono finiti con un colpo alla nuca dal maresciallo della milizia Caldurani che scarica con la pistola a tamburo sugli altri corpi, a casaccio, i colpi rimasti in canna.

Le salme dopo circa un ora vengono trasportate e gettate le une sulle altre in una stanzetta contigua alla camera mortuaria del cimitero di Zinola dove rimangono fino a mezzogiorno del giorno successivo, il 28 dicembre e vengono depredate di ogni oggetto di valore e dei portafogli.

Questa strage fu l’inizio della deriva criminale dei fascisti e dei tedeschi dopo l’8 settembre ‘43, che avevano deciso una guerra anche contro civili, indifesi, inermi, per ritorsione, per intimidazione, per rappresaglia. E anche la storia di quei 20 mesi è intrisa di numerosi eccidi e stragi nazifasciste nella nostra città e nella nostra provincia.

La risposta antifascista

La gravità dell’eccidio venne subito denunciata alla cittadinanza da un volantino emesso dal C.L.N.
Venne anche effettuato un breve sciopero di protesta nelle fabbriche di Savona e di Vado Ligure.Un grande senso di sbigottimento e di dolore pervase le forze antifasciste liguri e la cittadinanza .

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